L’illusione fondativa e la continuità sommersa
Dopo il 1945, l’Italia si scopre nazione da rifondare, ma su fondamenta non rimosse. Se la Resistenza è il mito fondativo della nuova Repubblica, come ricorda Claudio Pavone nella sua opera Una guerra civile, essa convive con una realtà più ambigua: la persistenza delle classi dirigenti fasciste all’interno delle strutture amministrative, giudiziarie e militari. La fine del conflitto non coincise con una vera palingenesi istituzionale, bensì con una transizione che fu al tempo stesso necessaria e compromissoria. La Costituzione repubblicana, pur animata da alti ideali, fu applicata in un contesto sociale ancora profondamente segnato da clientele, verticalismi e reticenze.
L’uso politico della memoria: la rimozione del passato
Il filosofo francese Paul Ricoeur parlava di “memoria impedita” quando una società seleziona ciò che deve ricordare e ciò che deve rimuovere. L’Italia dopoguerra ha costruito una retorica della Resistenza senza davvero interrogarsi sulla radicata adesione al fascismo popolare, e ha permesso il silenzio su eventi tragici come le foibe, l’esodo istriano o le stragi naziste coperte per anni da segreti di Stato. Come scrisse Norberto Bobbio, “la democrazia è anche memoria”. E senza di essa, diventa forma vuota.
Il compromesso italiano: democrazia senza rottura
A differenza della Germania post-nazista o della Francia post-Vichy, l’Italia repubblicana non operò una reale epurazione. Questo compromise ha generato quella che Piero Calamandrei definì “una democrazia sospesa”, fondata sulla legittimità ma priva di una piena discontinuità etica. Le radici della crisi della fiducia pubblica nei confronti dello Stato risiedono anche qui: nell’aver tollerato il permanere di logiche autoritarie in una struttura che si voleva pluralista.
L’eredità irrisolta e la lezione dimenticata
Nel XXI secolo, il dopoguerra italiano continua a proiettare le sue ombre sulla vita civile. Il populismo odierno, il disprezzo per le istituzioni, la fragilità educativa e civile nascono da un deficit profondo di autoriflessione. Senza una vera elaborazione collettiva del lutto storico, la democrazia rimane – per citare ancora Bobbio – “una promessa non mantenuta”.