Il paesaggio come creazione culturale e identitaria
Il paesaggio italiano non è natura incontaminata, ma opera viva. È la stratificazione visibile di secoli di civiltà, fatica contadina, arte e simbolo. Come affermava Benedetto Croce, ogni paesaggio è “storico”, perché ogni sguardo sul mondo è mediato da una visione del tempo. Colline toscane, borghi umbri, terrazzamenti liguri: sono scritture del suolo, alfabeti di un’identità collettiva.
Architettura rurale e antropizzazione armonica
Prima dell’esplosione cementizia del secondo dopoguerra, l’Italia era attraversata da un’architettura silenziosa e sapiente: quella dei muretti a secco, dei trulli, delle masserie. In queste forme c’è una sapienza perduta, un’economia dell’essenziale che oggi torna al centro dei dibattiti sull’ecologia e sul “ritorno alla terra”. Il territorio parlava italiano, e ogni villaggio era parte di un poema visivo.
Urbanizzazione e perdita dell’orizzonte
Negli ultimi decenni, il paesaggio è stato aggredito da una logica speculativa che ne ha deturpato l’anima. Le periferie si sono allungate come metastasi urbane, le coste cementificate, le valli svuotate. È il “disastro silenzioso” denunciato da Antonio Cederna già negli anni ’70. Eppure, la Costituzione tutela il paesaggio (art. 9), conferendogli una dignità giuridica e civile che molti altri Paesi non riconoscono.
Estetica e futuro: il paesaggio come bene spirituale
Recuperare il paesaggio italiano non significa restaurare l’immobile, ma restituire senso al vivente. Significa insegnare a leggere i luoghi, a sentirli, a viverli con lentezza. È l’ultima sfida dell’estetica territoriale: trasformare l’Italia intera in una scuola di percezione, dove il viaggiatore non è turista ma pellegrino, e ogni collina è un verso di poesia.