La cucina dei monasteri italiani è molto più di una raccolta di ricette. È il frutto di un millenario rapporto tra l’uomo, la terra e il divino. In questi luoghi, spesso isolati e silenziosi, il cibo è sempre stato parte integrante della vita spirituale. Ogni pasto, ogni preparazione aveva (e ha) una valenza simbolica: il cibo non è mai eccesso, ma misura; non è lusso, ma dono.
Le ricette monastiche italiane nascono dalla necessità, dall’autoproduzione e da una profonda attenzione alla stagionalità. Sono testimonianze di sobrietà e sapienza, tramandate attraverso i secoli da generazioni di monaci e suore. In molti monasteri, queste ricette sono ancora vive — e, fortunatamente, anche documentate.
1. Pane Benedettino: il simbolo della condivisione

I Benedettini, seguaci di San Benedetto da Norcia (480-547), furono tra i primi a codificare un rapporto tra cucina, lavoro manuale e vita spirituale. Il pane prodotto nei monasteri benedettini, ancora oggi presente in molte abbazie, segue rituali precisi.
Realizzato con farine grezze, spesso integrali, arricchito con semi, miele o castagne, il pane veniva benedetto durante la liturgia e distribuito anche ai poveri. Era parte del voto di ospitalità: chiunque bussasse a un monastero, trovava pane, acqua e un giaciglio.
Alcune abbazie ancora attive nella panificazione:
- Abbazia di Praglia (PD)
- Monastero di Bose (BI)
- Abbazia di Finalpia (SV)
2. Marmellata di more selvatiche: l’alchimia trappista

L’ordine trappista (Cistercensi della stretta osservanza) è celebre per la produzione artigianale di birre, miele e confetture. La marmellata di more, tra le più famose, veniva preparata in estate, con frutti raccolti nei boschi.
A differenza delle conserve moderne, quella trappista si distingue per:
- Assenza di conservanti
- Uso di zucchero di canna grezzo
- Cottura lenta, a fiamma dolce
Ogni vasetto è il frutto di un rito, spesso accompagnato da preghiere. Oggi è ancora prodotta in:
- Monastero di Frattocchie (RM)
- Monastero di Valserena (PI)
3. L’erbetta del convento: la zuppa delle penitenti

Questa antica zuppa ligure era preparata nei conventi femminili, in particolare francescani, durante i periodi di digiuno o penitenza. Gli ingredienti erano quelli che la natura offriva: erbe spontanee (ortica, borragine, malva, cicoria), pane raffermo, patate, acqua.
Simbolo di umiltà e purificazione, questa zuppa:
- Favoriva la depurazione del corpo
- Aveva proprietà medicinali
- Si preparava in grandi calderoni, spesso per intere comunità
Una variante più ricca, con legumi o croste di formaggio, veniva riservata ai giorni festivi.
4. Rosoli e liquori delle erbe: i segreti dei conventi del Sud

Nel Mezzogiorno, in particolare tra Campania, Basilicata e Calabria, le comunità religiose hanno sviluppato vere e proprie scuole di erboristeria. I rosoli (liquori dolci) erano usati:
- Come medicamenti naturali
- Come forma di offerta ai pellegrini
- Come merce di scambio con altri conventi
Il più famoso resta il rosolio alla rosa, ma troviamo anche:
- Liquore di 33 erbe (Monastero di Montevergine, AV)
- Rosolio di cannella e chiodi di garofano (Napoli)
- Limoncello “contemplativo” delle suore benedettine di Salerno
5. I biscotti della Badessa: dolci e accoglienza

Molti monasteri femminili producevano dolci semplici da offrire agli ospiti o vendere nei mercatini locali. I più diffusi erano:
- Biscotti di farina di riso e mandorle
- Dolcetti con fiori secchi (rosa, lavanda)
- Crostate di confettura fatta in casa
Ancora oggi, il Monastero delle Clarisse Eremite di Fara Sabina vende online i suoi “dolci della clausura”, diventati un piccolo fenomeno del food artigianale.
Il ritorno della cucina monastica oggi
La riscoperta delle cucine monastiche è oggi alimentata da due tendenze:
- La cucina vegetale e sostenibile, che si ricollega alla povertà creativa dei conventi.
- Il turismo spirituale, che include esperienze gastronomiche nei ritiri religiosi.
Chef come Pietro Leemann (Joia, Milano) e Paolo Lopriore (Il Portico, Como) hanno dichiarato esplicitamente di ispirarsi all’equilibrio monastico tra ingredienti e silenzio.
La sacralità della semplicità
Le ricette dei monasteri italiani non sono solo sapori da scoprire: sono visioni del mondo, stili di vita, resistenza all’effimero. Sono anche un invito a riscoprire il gesto lento, la gratitudine per il cibo e il valore della comunità. In un’epoca di iperproduzione e spreco, il pane benedettino o il rosolio fatto a mano parlano una lingua antica — ma sempre più necessaria.
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