Nel cuore del cristianesimo cattolico si annida una tensione antica e mai davvero risolta: il culto dei santi. Nati come figure esemplari della fede, i santi sono oggi oggetto di preghiere, offerte, processioni e invocazioni che sollevano una questione teologica e filosofica non banale: si tratta ancora di monoteismo? O ci troviamo davanti a un politeismo funzionale, travestito da devozione popolare? Che cos’è il culto dei santi? Nella dottrina cattolica, i santi non sono divinità, ma intercessori: anime beate che, essendo in comunione con Dio, possono “intercedere” per i vivi. Il Concilio di Trento (1545-1563) ha definito chiaramente la liceità di venerare i santi, distinguendo tra latria (adorazione, riservata solo a Dio) e dulia (venerazione). La iperdulia è poi una forma particolare di venerazione riservata alla Vergine Maria. Tuttavia, questa distinzione è spesso sfumata nella pratica. Il filosofo e teologo Tommaso d’Aquino affermava che i santi possono essere pregati, ma non adorati. Ma nella vita quotidiana di milioni di fedeli, i confini tra adorazione e venerazione si fanno labili. Un problema filosofico e teologico: monoteismo o politeismo? Secondo il pensiero classico di Platone e Aristotele, la divinità è una sola, perfetta, immobile e autosufficiente. Il cristianesimo, influenzato da questo paradigma, ha sempre proclamato l’esistenza di un unico Dio. Ma la filosofia della religione, da Spinoza a Hume, ha sollevato dubbi sulla distinzione tra monoteismo e politeismo funzionale. Spinoza criticava ogni forma di “intermediazione” tra l’uomo e Dio come una negazione della sua onnipresenza. Nel suo “Genealogia della morale”, Nietzsche osserva come il cristianesimo abbia “trasformato” il pantheon greco in una costellazione di santi, riducendo Dio a una figura lontana, da cui occorre difendersi con mediatori celesti. Il caso emblematico del Sud Italia Nel Sud Italia, il culto dei santi è parte integrante dell’identità locale. San Gennaro a Napoli, San Rocco in Calabria, Sant’Antonio in Puglia: ogni paese ha il suo protettore, il suo miracolo, la sua processione. Il santo non è solo figura spirituale, ma presenza sociale e simbolica, un’autorità morale che regola il tempo (le feste), lo spazio (le chiese e le edicole votive) e la giustizia (miracoli, punizioni, grazie). In questo contesto, il santo si avvicina a un nume tutelare, simile alle divinità pagane. Il sincretismo tra cristianesimo e tradizioni popolari è evidente: molte pratiche odierne richiamano riti antichi, come l’offerta di cibo, il voto, il pellegrinaggio, la promessa di sacrifici. Una visione critica: fede o idolatria? Secondo il teologo Karl Barth, “ogni mediazione tra Dio e l’uomo, diversa da Cristo, è idolatria”. Questa affermazione pone il culto dei santi in una zona grigia. Anche Martin Lutero, nella sua riforma protestante, rigettava il culto dei santi, considerandolo un’aberrazione del vero messaggio evangelico. Per i protestanti, solo Dio deve essere pregato, e nessun santo può intercedere in suo nome. L’obiezione è semplice ma potente: se Dio è onnipotente e onnisciente, perché rivolgersi a intermediari? Cult0 dei Santi: tra spiritualità e superstizione Il culto dei santi, specialmente nel contesto mediterraneo, rappresenta una forma viva e radicata di religiosità. Tuttavia, la sua ambiguità teologica rimane. È una forma di spiritualità incarnata, concreta, popolare. Ma rischia di diventare una superstizione, svuotata del suo significato originario. Forse, come scrisse Simone Weil, “la vera fede si riconosce nel silenzio”: quel silenzio in cui il rapporto con Dio non ha bisogno di testimoni né di intercessori. Potrebbe interessati anche:
Scandalo Vaticano: le accuse clamorose di mons. Viganò scuotono la Chiesa
Dopo la morte di Papa Francesco, l’ex nunzio apostolico negli Stati Uniti Carlo Maria Viganò ha lanciato accuse durissime contro il pontificato bergogliano, parlando di “crimini” e “usurpazione” del soglio di Pietro che non potranno restare impuniti nemmeno di fronte al Giudizio di Dio. Questo articolo analizza il contesto biografico di Viganò, le sue accuse principali, l’allarme per il prossimo Conclave, le reazioni nel clero e le possibili implicazioni per la Chiesa cattolica. Contesto e biografia di mons. Carlo Maria Viganò Carlo Maria Viganò, nato nel 1941 e ordinato presbitero nel 1968, è stato nunzio apostolico negli Stati Uniti dal 2011 al 2016, acquisendo popolarità per le critiche rivolte a Papa Francesco. Nel 2018 divenne celebre per aver pubblicato una lettera in cui accusava la Santa Sede di aver coperto gli abusi del cardinale McCarrick. Nel luglio 2024, il Dicastero per la Dottrina della Fede lo ha scomunicato per scisma, a seguito delle sue denunce di illegittimità del pontificato e di critica al Vaticano. Le accuse clamorose contro Papa Francesco L’allarme sul prossimo Conclave Viganò avverte che i cardinali creati da Francesco continueranno a promuovere un’agenda sinodale, rischiando di perpetuare quella che egli definisce una “rivoluzione dottrinale” all’interno del collegio cardinalizio. Questo “gelo in Vaticano” potrebbe influenzare le dinamiche elettorali, polarizzando i porporati tra fazioni progressiste e conservatrici. Reazioni nel clero Le sue parole hanno diviso la Chiesa: Scandalo Vaticano : Le Implicazioni L’offensiva di Viganò evidenzia le tensioni interne e lacerazioni ideologiche che minacciano di comprometterne l’unità, soprattutto in un momento di transizione. Le accuse di usurpazione e deviazione dottrinale potrebbero alimentare correnti benevacantiste, incrementando dubbi sulla validità del pontificato e deprimendo la fiducia dei fedeli. Il prossimo Conclave sarà dunque chiamato non solo a eleggere un nuovo pontefice, ma anche a sanare queste profonde divisioni. Potrebbe interessati anche: